#Contaminati

#Contaminati. Connessioni tra discipline, saperi e culture. G. Xhaet, Hoepli, 2020

“Allenando la mia porosità tendo ad assimilare e rimescolare con una certa frequenza gli ambiti, competenze e persone. Come il mio amico, come altre persone conosciute mi sento un ibrido, un bastardo. Un contaminato.” G. Xhaet

Avete presente quei libri, che sembrano chiamarvi per nome? Quelli che non andate a cercare…sono loro che vengono a prendervi? Ecco questo libro appartiene a quella categoria. Stregata dal titolo e catturata dal sottotitolo. Tra gli interessanti temi affrontati, ce ne sono alcuni che ho particolarmente a cuore come la contaminazione, il multipotenziale, l’autovalutazione. In un mondo che alza l’asticella in merito a complessità, velocità, ambiguità non basta più cavalcare il presente, occorre sempre più frequentare il futuro, leggere le situazioni che cambiano per immaginare risposte e domande, che possano traghettarci oltre. Riescono a farlo bene i #contaminati. Persone che fanno di curiosità, flessibilità e ripartenze il proprio stile di vita. Scritto da un formatore che si occupa di web marketing, innovazione digitale e cambiamento culturale è suddiviso in 5 capitoli in cui vengono analizzati modelli manageriali, luoghi che facilitano la contaminazione, intelligenza artificiale, algoritmi, web, problem solving, network relazionale e professionale. Non solo dati però. Tutto ci viene proposto con tono lieve, attraverso il racconto di fatti, di eventi, di storie e di personaggi conosciuti e amati o sconosciuti e intriganti, come la vicenda di Rosa Parks o di Sequoyah, l’inventore della lingua scritta cherokee. L’invito dunque e quello di sconfinare in ambiti differenti, umanistici e scientifici, creare connessioni che sembrano improbabili e non smettere di provarsi. Serve a chi si occupa di didattica dell’Arte questo libro? Serve: perché propone una visione, descrive un approccio, delinea un metodo, scardina preconcetti, immagina sviluppi. Serve perché l’Arte opera, da sempre, #contaminazioni tra discipline, saperi e culture. Ed è importante non dimenticarlo.

Perché leggere #Contaminati:
– Perché è un libro che propone diversi livelli di lettura: interessante nei contenuti, maneggevole per la consultazione, piacevole per lo stile grafico allegro e funzionale.
– Contiene nuovi termini e offre contesti differenziati da poter approcciare senza essere dei tecnici di settore.
– Anche la forma di scrittura è contaminata: attraversa la biografia, l’aneddotica, l’analisi di dati e grafici. Senza risultare inopportuna.
– Offre un messaggio chiaro e articolato, senza essere conclusivo. Ricco di rimandi bibliografici e di link di approfondimento.
– Propone un’autoanalisi: strumenti per mappare il proprio livello di contaminazione da cui partire per sperimentare nuove strade.

Siamo Fatti di Racconti

Questa emergenza da #coronavirus mi ha congelato i pensieri e tolto le parole. Non so a voi che effetto abbia fatto. Da un giorno all’altro relegata in casa con tutta la famiglia senza la possibilità di uscire: niente passeggiare, ma anche niente lavoro.
La forzata inattività mi ha portato alla sospensione non solo dei progetti in atto, ma anche di quelli in nuce.
Inchiodata alle ore che scorrevano impietose, con una rapidità sorprendente e inaspettata. In cui non riuscivo a leggere, a chiacchierare spensieratamente, a godere di un relax che credevo di aver sempre rincorso.
La mia prima reazione è passata attraverso le mani. Ho smesso di pensare e ho cominciato a fare. Quanti lavori in casa si procrastinano a data da definirsi? Ho cominciato a fare. Ho stuccato, ho restaurato cornici, sistemato piante. Ma anche imbiancato pareti, accorciato tende, sperimentato ricette nuove.
Mani sporche e felici. La sera stanca e soddisfatta. Ma con sensazioni in standby.
Tra le altre quella relativa al lavoro.
Un lavoro in cui l’esperienza plurisensoriale, il contatto fisico con materiali e superfici, l’approfondimento di idee e metodi, l’incontro con l’altro, sono parte fondante. In cui la rapporto interpersonale è al centro della sperimentazione, in cui il dialogo interdisciplinare e la dialettica relazionale sono il motore della scoperta silenziosa.
Sembrava che il covid-19 fosse venuto a portarsi via, con un colpo di spugna, tutto quello in cui credo e su cui ho fondato la mia ricerca: l’incontro! E con esso il contatto visivo, il metalinguaggio, la relazione, la condivisione emozionale, lo scambio energetico.
Poi è esplosa la didattica a distanza, video, link eventi web, le iniziative sono state numerose e repentine, sono stata stravolta dalla risposta del settore. Divisa tra il desiderio di continuare a seguire tutto e quello di spegnere il PC.
Io che volevo starci dentro questo entusiasmo tecnologico. Io che, chi mi segue sa, ho accettato i miei limiti e faccio quello che posso.
Insomma mi sono trovata in un’apnea emotiva tutta da gestire.

Fenicotteri e alveari
Poi, dopo aver sognato fenicotteri bianchi e rosa in colonie sterminate, di avere alveari sulle gambe ed altri simboli, provenienti da chissà quali suggestioni, una mattina mi sono svegliata e ho ripreso a pensare. A leggere. A progettare. a programmare. A parlarmi ancora.
L’ansia per il futuro, che mi ha strattonato pesantemente, mi appariva contenuta: inglobata in una nuova forma. Non definita, ma non infinita.
Il tempo che sembrava arrivare da una dimensione dantesca, come a vivere il contrappasso -molto tempo, senza la possibilità di utilizzarlo come vuoi- ha ripreso un andamento umano.
Il senso comune, schiantatosi su sensazioni ed eventi mai vissuti prima, ha delineato nuovi sentieri che diventano percorribili.
L’immagine di me ha ripreso a riflettere e rifrangere il mondo che mi circonda.
Niente di fluido certo. Ma un inizio. E la forza di far esplodere la domanda sopita: che senso devo dare al mio lavoro oggi? E domani?

Arte come la vita come i bambini
Siamo fatti di racconti. Di ciò che ci viene raccontato. Di ciò di cui cerchiamo di convincere gli altri. Di tutto quello che raccontiamo a noi stessi.
Di quanti racconti sono capace? Vorrei poter dire tanti. Vorrei raccontare di arcobaleni e canzoni. Ma saper narrare anche di incertezze e paure. Storie di nuovi e vecchi miti. Quello che ho visto e che ho solo immaginato. Quello che ho provato e quello a cui ho rinunciato.
Allora mi giro e ritrovo l’Arte. Che è fatta come è fatta la vita.
Che racconta la morte, le ingiustizie, la speranza, la vittoria, l’amore e l’infamia, la gentilezza e la crudeltà. Il passato e il futuro. La disperazione e la resilienza. L’abbandono e la pietà.
L’Arte come la vita che si interroga e cerca nuove strade. Che si trasforma. Come i bambini.
E a fine riflessione mi sento come chi, per poter leggere, cerca – per interminabili minuti- gli occhiali e se li ritrova sulla testa.
Come se fossi partita alla ricerca di un tesoro e, dopo aver girato il mondo, lo ritrovo dentro casa. Come chi, lungo il cammino ramingo, fa incetta di speranza e scorta di coraggio e non sente di aver perso tempo.
Torneremo a incontrarci di persona. Prepariamo nuove connessioni per un recente immaginario, inventiamo nuove parole per impreviste sensazioni, costruiamo nuovi silenzi per sapienti ascolti.
Comincio da qui. Lunga è la strada. Ma i pensieri non sono più congelati.
Il primo passo è fatto.

#museomix 2019 ad Ancona

Il weekend 8-10 novembre ho partecipato a #museomix19 ospite del Museo della Città di Ancona, a due anni dal primo avvenuto nel Museo della Ceramica di Montelupo Fiorentino. #Museomix, format francese, è un laboratorio interdisciplinare che quest’anno ha coinvolto 8 Musei di 6 Paesi: Francia, Belgio, India, Svizzera, Canada. In Italia oltre ad Ancona ha partecipato il Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze. Un evento coinvolgente, una 3 giorni di crescita personale in cui ho avuto modo di incontrare nuove persone e di conoscerne altre. La mia esperienza è stata #appagante, #complessa, #sostenibile. Qui tutte le foto.

Come funziona?
#Museomix è un evento che si svolge contemporaneamente in diverse parti del Mondo. Una maratona creativa di 72 ore, con tempi serrati e attività codificate, che porta dentro il Museo varie professionalità, per reinventare modalità e canali di comunicazione attraverso nuove idee e l’utilizzo della tecnologia.
I team sono creati tramite sorteggio. Ciascuno #mixer partecipa con un ruolo definito. Tuttavia dopo brainstorming, pensamenti e ripensamenti, definizione dell’idea e inizio della fase costruttiva si procede con maggiore fluidità. I contorni dei ruoli si ammorbidiscono e capita di scambiarsi le funzioni a seconda delle esigenze del gruppo. Ad ogni team viene assegnato un facilitatore, figura di raccordo con l’organizzazione, che ha il compito di risolvere problemi contingenti, tenere i tempi per le varie fasi di produzione del prototipo, di supportare anche emotivamente i mixer.
Durante i tre giorni, a cadenza regolare si svolgono le plenarie -momento di condivisione collettiva dei singoli progetti- dove i team si confrontano, si interrogano, si chiariscono.
I team di lavoro sono supportati da esperti e da strumentazioni in FabLab, Techshop e Atelier ricchi di risorse e materiali legati alla cultura e all’economia del territorio. Qui tutti i partner di Museo della città di Ancona.
Il prototipo, che ha avuto poco tempo per essere ideato e realizzato, sarà necessariamente incompleto, ma del tutto rispondente alla idea progettuale. La domenica pomeriggio il Museo si apre al pubblico e offre l’ opportunità di provare i prototipi creati. Ai visitatori viene, poi, chiesto un feedback tramite intervista diretta.
L’incontro con il pubblico è un aspetto fondante dell’intera iniziativa, sia per il Museo che per il #mixer. Il momento in cui percepisci il reale ritorno dell’intero lavoro: l’applicazione della teoria, i bug tecnici, i gap comunicativi. Quello che piace, quello che non funziona, o che resta più incomprensibile di quanto avresti immaginato. Sistemi così competenze e intuizioni e definisci nuovi limiti personali e comprendi i possibili cambiamenti attuabili.

Il gruppo e la genesi
Quest’anno ho partecipato come esperto dei contenuti e, pescando il gruppo n. 2, ho collaborato con Sergio il programmatore, Claudia la Maker, Vincenza il mediatore, Jean- Baptiste il comunicatore, Stefano il designer. Il nostro facilitatore è stato Anna Guerra. “Filblue” il nome del team: fil mutuato da ‘filrouge’  in onore del nostro comunicatore francesce, e blue come il blu di guado, colore vegetale conosciuto e sperimentato durante #museomix. Il nostro terreno di gioco è stato ‘connessioni urbane’. Abbiamo cercato di interpretare le problematiche del complesso rapporto tra il Museo e la città.
Come capita frequentemente, l’idea grandiosa (che pareva l’unica possibile, quella che ha messo subito d’accordo tutti) presentata alla prima plenaria è stata completamente abbandonata. E il prototipo realizzato, il frutto di una completamente nuova e trasformata.

Viaggia per Ancona con il Flibleu
Il nostro progetto intercetta, in prima istanza, un pubblico vacanziero che, scendendo delle navi, decide di visitare il Museo della Città attraverso un percorso ludico che lo accompagna tra i monumenti e scorci caratteristici di Ancona. Al turista viene consegnata una bag e una mappa tattile, a cui mancano tasselli che possono essere recuperati durante il tragitto attraverso l’attivazione di dispositivi sulle facciate dei monumenti interessati. La chiave simbolo del Museo  contiene tecnologia nfc e diventa la chiave di lettura dell’esperienza. Accanto ai monumenti selezionati, il visitatore potrà attivare  le informazioni-curiosità. Al termine del contributo audio un distributore automatico rilascerà il pezzo mancante alla mappa. Il percorso può differire per durata o per argomento. La durata dipenderà dal tempo che il turista avrà a disposizione, prevedendo un tragitto più o meno breve. Gli argomenti saranno legati a temi trasversali e non a sequenze cronologiche. Nel nostro prototipo, abbiamo immaginato un percorso che dal mare arriva al Museo con tema conduttore ‘Commerci con l’Oriente’. e che prevedeva 4 postazioni per simulare ‘Viaggio con Filblue’: tre  esterne e una interna. L’ultima, all’interno del Museo, rappresenta il punto finale del gioco, e il punto iniziale della visita ai 4000 anni di Storia si Ancona raccontati nel Museo della Città.

Gli altri #museomixer
Gli altri tre gruppi, chiamati Cucali, Sensomix e Sestina Lente, hanno lavorato su terreni di gioco differenti realizzato prototipi immersivi e social.
Teldigo è il progetto del gruppo Cucali che, suggestionato dal racconto della leggendaria Stamira, ha creato un totem con rappresenta l’eroina anconetana, a cui è annesso un profilo instagram che riproduce un trailer della storia del personaggio. Per conoscerla tutta devi andare al Museo!
Senti che Museo! È il prototipo del team Sensomix che ha proposto una lettura sensoriale del percorso. Puntando al coinvolgimento dello spettatore già dal tunnel d’ingresso del Museo, in cui vengono accolti da voce suadente e creando postazioni in altre sale dove poter annusare, toccare, ascoltare oltre che guardare.
6 per Ancona è il progetto del team Sestina Lente e ci invita a giocare. Hanno prototipato una postazione con un dispositivo audio, una scatola con oggetti riguardanti la storia di Stamira, una mappa e un passaporto. Per essere riconosciuto vero anconitano occorre, completare il passaporto e conoscere 6 personaggi che hanno fatto la storia di Ancona.
Qui in dettaglio il racconto di Musedu di tutti i prototipi presentati.

Conclusioni
#museomix è una prova individuale e professionale di una certa importanza. Occorre andarci con la voglia di mettersi in gioco e di tornare un po’ cambiati. Parteciparvi ti costringe a diverse cose. Tre giorni intensi in cui ti è richiesto di lavorare in gruppo in maniera performativa, ma con persone quasi sempre conosciute poche ore prima. Di cambiare i livelli comunicativi personali, avere un approccio ludico e flessibile con il rigore della professionalità. Di cogliere l’essenza del Museo leggendo tra le righe, distratto dagli obiettivi da raggiungere. Di essere creativo e brillante, con l’ombra lunga dei tempi serrati.
Partecipare a #museomix ti fa sentire parte di una comunità, che dialoga e si riconosce, che viaggia con le valigie e con la mente.
È una esperienza che si stratifica. È un modo per tenersi connessi e aggiornati, perché ciascun mixer porta la propria voce. È un modo per conoscere le realtà museali che ti ospitano, non solo come fosse una visita guidata, ma camminare fianco a fianco con chi il Museo lo vive e lo fa vivere: le persone dietro il personale. È un modo per affermarti anche quando resti in ascolto. O in silenzio. Un modo per allenare le proprie opinioni a restare centrate, ma duttili. Per farle rimanere morbide contro gli irrigidimenti delle proprie convinzioni.
Ancona è stato anche un esperimento di sostenibilità, con l’iniziativa della Stoviglioteca, in cui ciascuno provvedeva al lavaggio delle stoviglie usate per il pranzo. E un piacevole appuntamento con una grande carica sociale. Quando un caffè o una birra sono il pretesto per raccontarsi scelte, impressioni, esperienze, stando insieme dentro e fuori dal Museo in maniera consapevole e amichevole.
Questo Miseomix, poi, ha avuto un grosso peso specifico per me, perché le Marche rappresentano una nuova fase della mia vita, una nuova casa. Conoscerne un pezzo di cultura mi avvicina ai nuovi luoghi, stimola la curiosità, mette in pari le emozioni.
In fondo i Musei sono questo: la Storia con la maiuscola, che si riversa, distillata o come uno tsunami, nella storia di ciascuno di noi.