L’#OspiteDAB di settembre è Maria Zaramella designer visiva, socia tipografa di Officina Tipografica Novepunti, curatrice del progetto ABiCiDi, che promuove laboratori dove la stampa a caratteri mobili è reinterpretata per divenire un mezzo di apprendimento, memorizzazione e raffinamento della cultura della tipografia, dell’alfabeto e della lingua italiana. Il progetto ABiCiDi, con sede all’interno della Fabbrica del Vapore a Milano invita i bambini e le bambine a sperimentare la stampa tipografica a caratteri mobili. Mi ci sono imbattuta per caso via Web e ne sono rimasta affascinata. Per tantissimi motivi, tra cui la suggestione degli strumenti usati e la bellezza dei risultati ottenuti! Maria ci racconta ABiCiDi presentandoci un punto di vista particolare: l’incontro con i bambini! I dialoghi, i tempi, la tecnica, le curiosità, il metodo. Cercate anche la pagina FB e l’account Twitter.
…e ora immagino che vi chiederete: «ma Maria, abbiamo i computer, abbiamo i fili e il wi-fi, abbiamo le stampanti da dove può uscire tutto quello che abbiamo scritto, letto, disegnato…perché tutta ‘sta fatica? Che voglia c’hai!?!».
Davanti a una serie di oggetti e strumenti mai visti, apparentemente senza stretta utilità e provenienti da mondi lontani dal 2016, iniziano i laboratori di stampa tipografica di ABiCiDi.
I bambini mi guardano esigendo in fretta spiegazioni: quale divertimento migliore se non quello di rivolgere a loro delle domande? Cattiveria? No, esercizio di ragionamento collettivo!
«Qualcuno sa che cos’è la stampa e a cosa serve?» «Cosa vuol dire tipografia?» «Ok, ora, questa è difficile… sapete cosa sono i caratteri mobili?».
I loro occhietti guardano nel vuoto…hihihi, come mi piacciono!
Tolgo il telo che copriva l’unico tesoro rimasto nascosto, posizionato a terra, proprio in mezzo al centro del nostro cerchio. Et voilà, sospiri di giubilo e urlettini di stupore si ergono dalle loro vocine: ah! sono lettere!!!! Decine di manine si avventano a toccarli, prenderli per vederli da vicino «Questa è la E del mio nome!» dice uno, «Uh, la mia iniziale!» dice un’altra, «Vabbè, facile..è l’alfabeto!» dice quello più grande, un po’ scocciato.
Esatto, sono lettere dell’alfabeto che hanno sicuramente visto milioni di volte e non c’è da stupirsi se a quattro anni, alcuni di loro, hanno iniziato ad usarle e ricopiarle.
Ma non è questo il nodo, il perno sulla quale verte il percorso laboratoriale di ABiCiDi. E non sono nemmeno io la persona con la quale si può imparare la differenza nello scrivere una bì e una dì, o una vi e una effe. Non sono un’insegnate, non ho un Ph.D. in pedagogia o in psicologia infantile, sono una designer. Quello che metto a disposizione dei bambini, che hanno dai 5 ai 10 anni, è uno spazio fisico e mentale nella quale essi possono gestire un progetto individuale in piena autonomia, dall’ideazione alla realizzazione (e come diremmo tra colleghi, dal concept all’output), ovvero la progettazione di un artefatto da te concepito e da te realizzato. E i nani -come li chiamo io scherzosamente- ne sono assolutamente capaci e il risultato concreto che possono toccare con mano, è motivo giustamente di orgoglio. Bello, vero?
Torniamo ora, ai loro volti soddisfatti, perché consapevoli di aver capito con estrema facilità cosa fossero quei rettangoli di legno che avevano di fronte. E, se io ora, dicessi loro, che queste lettere hanno un nome particolare e che si chiamano caratteri mobili?
Riecco apparire il silenzio! Già, si ricomincia il gioco…
«Cosa vuol dire carattere?»
«Cosa vuol dire mobile?» (giuro che quasi nessuno dice quello che è quel coso dove mettiamo cose in casa).
«E quindi, ora che abbiamo capito che ogni carattere ha il suo carattere, che si possono muovere per poterci comporre quello che vogliamo, che sono dei di-segni…cosa facciamo?». Li usiamo per disegnare e poi li stampiamo!!
Tornano i sorrisi e non perdo tempo per presentargli gli strumenti del mestiere, quelli che loro useranno: il nonno della nostra stampante – il sig. Tirabozze -, i rulli e gli inchiostri. Eh sì, perché una volta spiegato a cosa servono e come si usano, saranno loro a utilizzare questi aggeggi, mica io! (Uno dei momenti che più mi diverte, è quando chiedo loro come il tirabozze si aziona. Chiedo di guardare se ci sono dei bottoni per farlo accendere, se ci sono attacchi per dei fili e dove si mettono i fogli. Nulla..non sanno proprio come farlo partire. Quando dico che si usano le mani per spingere in avanti su dei binari il grosso rullo, rimangono stupiti. «Ah, ma è una tecnologia antica!» una volta mi ha detto un bambino.)
È da questo momento che i bambini iniziano a immaginare cosa vogliono fare (solitamente c’è un tema comune che propongo, ad esempio l’Alfabestiario, Ritratti tipografici, etc), quali caratteri usare e come comporli. Dopo aver spiegato alcuni vincoli progettuali a cui devono attenersi, non intervengo, lascio libertà, conscia del fatto che in questi territori non c’è un giusto o uno sbagliato, non siamo tra le righe di un quaderno di grammatica o ortografia. È la loro fantasia che gli ha suggerito cosa fare e solo loro possono sapere se quello che stanno facendo va bene perché, per prima cosa, deve piacere a loro, mica a noi! L’estetica adulta è l’ultima delle preoccupazioni, per fortuna. E qui sta la forza e la bellezza dei loro progetti: sfrontati, immediati, essenziali.
Sono ai tirabozze, pronti a stampare le loro composizioni tipografiche appena inchiostrate: momento di massimo pathos. Si appoggia il foglio, si tira il rullo con le mani e l’aiuto di un altro bambino e sotto la mia vigilanza da Rottermaier. É arrivato il momento di alzare il foglio e vedere che cosa è successo nell’altro lato… Tà-Dààà!!! Ecco, questo credo sia il momento più edificante di tutto il mio lavoro: vedere l’entusiasmo e lo stupore nelle loro espressioni (poi, a volte, capita anche di vedere facce non proprio soddisfatte del risultato… vuoi per la stampa venuta non troppo bene o forse perché non riconoscono quello che avevano immaginato…ma fa parte del gioco! Quante volte ci capita a noi?).
E ora, acquisita la tecnica e capiti i passaggi, è fervore.
«E mo’, chi li stacca più?». Per fortuna, madreNatura ha inventato la stanchezza dei bambini, e i genitori gli orari per andare a casa. Perfetto!
Del perché esista ABiCiDi e del perché proprio la stampa a caratteri mobili, lascio la spiegazione a Officina Tipografica Novepunti, causa e motore scatenante di questa bella follia. L’approdo all’universo dei bambini non è stato immediato, non ci pensavo nemmeno, è maturato pian piano col tempo in base a letture, studi e approfondimenti personali e, diciamolo, anche perché i bambini sono irriverenti, saggi e mi fanno spisciare dal ridere.
Un sentito grazie a Leontina che mi ha contatta e invitata a raccontare qui l’avventura di ABiCiDi.