L’ospite di questo mese è l’Ing. Luciano Arianna, dirigente scolastico dell’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “E. Bernardi” Padova. La dedizione e la passione per il suo lavoro lo hanno spinto ad interessarsi alle numerose dinamiche dell’apprendimento e dell’educazione, riservando fiducia ed interesse verso alunni e docenti. Mi conosce da sempre e tra i suoi consigli, cui si è insofferenti da ragazzi ma che diventano essenziali col tempo, quello che preferisco è relativo al metodo: organizzarsi il lavoro con efficacia ed efficienza per un risultato ottimale. Ma sempre migliorabile.
E’ la domanda che mio padre, Aniello, faceva a noi figli (due femmine e due maschi) quando non eravamo in grado di svolgere un compito. I miei genitori non ci sono più, io tra pochi anni andrò in pensione e la domanda di mio padre mi sembra di un’attualità disarmante! Cosa vado a fare a scuola è la domanda che troppi giovani si fanno, trascinandosi svogliatamente giorno dopo giorno da casa, andata e ritorno, e spesso smarrendo il percorso giusto che li porterebbe alla destinazione scolastica. Il navigatore incorporato nella loro mente perde il segnale e si ”smarriscono”. In realtà decidono che la “vita” è fuori dalla scuola. Sbagliano? Se è vero che ciò che impariamo a scuola in modo formale è solo il 30% di tutto ciò che nella vita s’impara e che il rimanente 70% s’impara in modo non formale e informale allora non sbagliano, imparano molto più fuori dalla scuola. Tuttavia, non possiamo cavarcela in questo modo semplicistico. Nella scuola che dirigo, un istituto professionale di stato per l’industria e l’artigianato, la differenza, tra quando i giovani arrivano in prima superiore, a volte dopo bocciature in altre scuole, e quando escono col diploma in tasca, è enorme sotto il profilo della crescita della persona e delle competenze professionali che conseguono. Una volta fuori trovano facilmente lavoro anche in periodo di crisi economica. Allora la risposta alla domanda di mio padre è che a scuola è essenziale andare. Ma non basta la sola presenza fisica, occorre un impegno personale per voler crescere in tutti i sensi. Carl Rogers (psicologo umanista americano) affermava che: “pretendere d’insegnare a uno studente quando egli non manifesta alcun interesse o quando sente i contenuti estranei alla sua esperienza, non ha alcuna utilità”. E qui voglio ricordare gli insegnamenti di mio nonno Luciano (maestro falegname, artista e inventore) che a noi piccoli nipoti spiegava che il mestiere si “ruba”! “Nonno, come si fa a rubare il mestiere?” “Con la curiosità, la voglia di scoprire, di capire, di copiare, di provare”. A significare che la motivazione ad apprendere è fondamentale, così come la possibilità di sperimentare. Mia madre, Leontina, ci ha fatto capire che senza un impegno costante e l’orgoglio di far bene le cose è difficile migliorarsi e migliorare le proprie condizioni di vita, provare soddisfazione per quello che si fa e per se stessi. “Come studente, che a casa ho già i genitori, parenti e affini, che mi dicono cosa devo fare o come mi devo comportare, arrivo a scuola (se il ”mio” navigatore funziona) e trovo fino a quattordici professori che, ora dopo ora nella giornata e giorno dopo giorno …, mi dicono cosa devo studiare e cosa devo fare. Se mi comporto male arriva anche il preside a farmi il predicozzo. Quanta gente che continuamente mi dice cosa fare. Pochi mi aiutano a superare le mie difficoltà e a far crescere la mia autostima. Sono confuso! Perché devo studiare tutte queste materie, perché non posso fare quello che voglio? In fin dei conti non sono più un bambino. La vita è fuori dalla scuola, ho le mie amicizie da curare, i primi amori che sbocciano e m’impegnano, compagni rompiscatole e a volte prepotenti che m’infastidiscono, i miei genitori senza lavoro o separati con i “casini” che ne derivano (ecc, ecc), e questi rompono continuamente con lo studio e il rispetto delle regole! La scuola come risponde a questi giovani poco motivati, a tratti confusi, ma anche a chi ha motivazioni forti e determinazione a raggiungere obiettivi ambiziosi? Uno dei presidi, Marinaro Gaetano, che ho avuto quando ero insegnante, diceva che chiusa la porta dell’aula rimane il docente e la sua classe. Grandissima verità! L’organizzazione, le risorse logistiche e strumentali, le condizioni ambientali, ecc, incidono sugli esiti di apprendimento degli studenti. Ma non tanto quanto le capacità o meglio le competenzedidattiche dell’insegnante e, in particolare, le sue capacità empatiche, di ascolto, di saper cogliere esperienze vissute dai propri studenti per contestualizzare gli argomenti che tratta nelle sue lezioni sì che i giovani possano cogliere il senso dello studio e impegnarsi (studiare costa fatica!) per apprendere in modo concreto, duraturo, spendibile. Quando si parla di scuola dell’autonomia, l’autonomia è soprattutto nellaricerca metodologica-didattica.Con la riforma della scuola secondaria superiore i programmi sono stati sostituiti dalle competenze che gli studenti devono conseguire al termine del percorso di studi. Sono i dipartimenti e i consigli di classe che, in sintonia con la realtà socio-economica , e culturale in cui è inserita la scuola, scelgono i contenuti, quindi le conoscenze, più adatte al raggiungimento delle competenze di cittadinanza, culturali, tecniche e professionali. A questo punto mi pongo un quesito: l’insegnamento è un mestiere o un arte? E’ un mestierante l’insegnante che cercando alibi vari, stipendio basso, classi numerose, carenze di risorse, studenti con poca voglia di studiare ecc, ogni giorno entra in classe senza aver preparato adeguatamente la lezione calata nella realtà della classe, non conosce i propri allievi, si preoccupa solo di svolgere il “programma” in modo acritico e non contestualizzato. E’ un “maestro d’arte” l’insegnante che cura la propria preparazione metodologica-didattica e culturale; ogni volta entra in classe con la “lista della spesa” o “la ricetta” per svolgere un’attività preparata, organizzata, coinvolgente, che fa “lavorare” in classe i propri studenti e li segue singolarmente o a gruppi perché possano superare le difficoltà momentanee e fare poi un altro tratto di strada (di studio) in modo autonomo fino alla difficoltà successiva. L’insegnante è presente per far superare anche il secondo ostacolo così che lo studente possa proseguire in modo autonomo ed accrescere, al tempo stesso, la propria autostima e la convinzione che è capace e se s’impegna può farcela. L’insegnante “artista” programma e pianifica il proprio lavoro, conosce strumenti e strategie per sviluppare gli argomenti della propria disciplina, ma sa anche contestualizzarla ed è capace di cogliere continuamente spunti dal vissuto dei propri studenti per farli sentire partecipi, attori dell’attività scolastica e non spettatori annoiati e demotivati, sa gestire la classe curando il rispetto delle regole e abituando gli allievi ad un lavoro metodico e preciso senza che diventi noioso. Sa con precisione cosa deve fare luie cosa possono e devono fare gli studenti. E’ esempio di coerenza per i propri studenti. E’ risaputo e ridetto fino alla noia da anni che il sapere non può più essere un accumulo di conoscenze, eppure, nonostante le innumerevoli sperimentazioni, non c’è stato negli anni una vera innovazione didattica-metodologica diffusa. Le lezioni continuano ad essere prevalentemente frontali, l’insegnante parla e spiega (a volte tenta!) e l’allievo ascolta (non sempre!). Anche nelle scuole con officine e/o laboratori buona parte del tempo è dedicato alle spiegazioni e solo in parte all’azione diretta dello studente! E’ evidente che, più o meno consapevolmente, l’insegnante ritiene che è più professionale “parlare” che “fare”! Cosi si perdono quotidianamente occasioni di mettere in pratica le conoscenze e trasformarle così in competenze, si perdono occasioni per motivare gli allievi allo studio e renderli più partecipi alle lezioni, cosa che avrebbe come effetto benefico collaterale un comportamento delle classi più consono all’ambiente e più adeguato a creare condizioni di apprendimento efficaci, durature e, di conseguenza, più spendibili nella vita quotidiana dei singoli individui. La didattica per competenze è un mondo ancora tutto da scoprire (neanche il 10% d’insegnanti ha seguito un corso di aggiornamento su detto tema!). Così anche la didattica laboratoriale appare patrimonio di una élite d’insegnanti, ma ignorato o snobbato dagli altri. L’apprendimento non è mai stato lineare, oggi men che meno. L’enorme quantità di conoscenze generate dall’uomo ha messo in evidenza la complessità stessa delle conoscenze. Di conseguenza anche lo studio deve essere sistemico per poter cogliere relazioni, collegamenti, inferenze tra le varie discipline. Per sviluppare il pensiero sistemico l’insegnamento non può seguire un andamento lineare come se si dovesse assemblare un pavimento di piastrelle quadrate o rettangolari con i bordi rettilinei che costituiscono sì l’elemento di congiunzione ma evidenziano di fatto dei confini che separano gli elementi associati (le materie). Possiamo, invece, pensare alla costruzione di un puzzle . Gli elementi da unire sono diversi per forma e colori. L’assemblaggio richiede lo sviluppo delle capacità di osservare, riconoscere, classificare, immaginare, mettere in relazione, ecc. Occorre trovare le tessere che s’incastrano tra di loro e man mano permettono di costruire un’immagine reale intellegibile e definita. Chi ci prova riconosce il senso di quello che sta facendo, ricerca un’immagine finale che ha un suo significato. E così, anche il tassello dai bordi non lineari ha un suo significato, mai fine a se stesso, e nel complesso dell’opera coinvolgente e stimolante. I puzzles possono essere piccoli con tasselli grandi o grandi con migliaia di tasselli piccoli. La capacità di costruirli si acquisisce per gradi, da situazioni semplici a situazioni sempre più complesse. Ecco come m’immagino la didattica. Coinvolgente, che guidi lo studente a superare le difficoltà per gradi, a sviluppare un metodo di studio consapevole e formalizzato in modo da diventare autonomo e capace di continuare ad apprendere in modo formale per tutta la vita. L’apprendimento formalizzato, molto più di quello informale e non formale, consente non solo di svolgere compiti noti e ripetitivi ma di affrontare le sfide delle novità e dell’innovazione. Condizione che favorisce lo sviluppo della cultura, dei valori morali, delle scienze e all’evoluzione tecnologica. Oggi la padronanza della sola scienza e tecnologia rende la vita più comoda per molti aspetti. La carenza di cultura diffusa, di valori socio-ambientali e spirituali ci costringono a vivere in una società con fortissime disuguaglianze e ingiustizie. Aiutare i giovani a imparare ad imparare, e ad apprendere in modo critico, così da avere gli strumenti intellettuali per operare scelte consapevoli, deve essere l’obiettivo principale di chi insegna. Il giovane diventerà un adulto capace di trasferire nel lavoro le conoscenze acquisite e,soprattutto, un individuo capace di contribuire a rendere la società civile più giusta, appagante. Allora la risposta alla domanda di mio padre potrà essere: vado a scuola perché imparo a vivere meglio e a lavorare. Luciano Arianna, ingegnere aeronautico Dirigente Scolastico dell’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “E. Bernardi” Padova