Non ho mai incontrato in tutta la mia vita un solo bambino a cui non piacesse essere avvolto dalla magia di una voce che racconta una storia.
Non ho mai incontrato una sola bambina che non si sentisse gratificata dall’essere ascoltata con il più totale interesse da un adulto.
Non ho mai incontrato bambina che non apprezzasse essere circondata dalla stima di chi ti chiede di provare a fare, indipendentemente dal risultato.
Non ho mai incontrato uno sguardo fanciullo che, per quanto spaventato o insicuro, non avesse voglia di mostrare al mondo il proprio lavoro.
Mai incontrato un anima fanciulla che non scalpitasse per provarsi, sperimentare tecniche e sentirle passare attraverso le proprie mani.
Mai incontrato un bambino che non rielaborasse, seppure in un minuscolo dettaglio, le mie parole, le mie richieste, le mie proposte.
Mai incontrato un bambino che non mi abbia dato un’occasione concedendomi la propria fiducia.
Mai incontrato una bambina che non mettesse alla prova la mia correttezza nei propri confronti.
Mai incontrato un bambino che non soppesasse la coerenza tra le mie parole e le mie azioni. Tra le mie espressioni e i mei silenzi. Tra il mio dare e il mio avere.
Non ho mai incontrato un bambino o una bambina che, alla fine di un incontro, non mi insegnasse qualcosa in più sul mondo e su me stessa. Qualcosa di più bello intendo.
Non ho mai incontrato bambini la cui scintilla negli occhi non mi regalasse un bagliore di infinito. Il cui sorriso non mi facesse cogliere l’essenza della felicità.
Mai uno che non avesse voglia di giocare.
Allora perché ho incontrato tanti bambini e bambine inibiti, che hanno paura di sporcarsi le mani, il terrore di non essere all’altezza, il timore di dare la propria opinione?
Allora perché?
Perché i laboratori non hanno andamento costate e risultati simili? Perché a parità di progetto o di contesto la soddisfazione generale differisce di volta in volta? Di classe in classe? Di bambina in bambino? Certo il carattere del bambino, certo la disposizione contingente della bambina, certo la capacità dell’operatore, certo il contesto giusto. Molte cose concorrono a determinare le risposte a queste domande. Ma io mi voglio soffermare sull’approccio educativo.
Il livello di partecipazione, la gratificazione personale, i risultati del workshop sono direttamente proporzionali al livello di libertà in cui i bambini e le bambine sono abituati a muoversi.
L’assenza di stereotipi formali dipende da quanto è concesso loro di sperimentarsi, lontani dai giudizi di merito e pregiudizi formativi. Quanto margine di errore abbiamo concesso loro.
A quanto siamo in grado di accogliere le suggestioni che ci mandano, senza sentirci per questo messi in discussione. A quanto poco ci importi di un lavoro ‘compilativo’ senza sbavature, privilegiandone uno esplorativo, seppur inconcluso.
Per rispondere alle domande in maniera corretta, dunque, va spostato il focus su chi educa. I bambini e le bambine dipendono da noi per esaltare o reprimere il proprio modo di essere. Per imparare ad essere inclusivi o esclusivi. Per provare ad accettare e rafforzare l’individualità, senza prevaricare il valore di collettività. Per imparare a non sentirsi esclusivamente gregari delle idee degli altri, ma serenamente critici rispetto a se stessi e al mondo.
Una grande responsabilità. Prima che domandarci se ne siamo in grado, occorrerebbe chiederci se ne siamo consapevoli.
La necessità dell’Arte
Lavorare con bambini e ragazzi attraverso l’Arte, mi ha sempre permesso di utilizzare un linguaggio universale, tra i più democratici di sempre. Attraverso la conoscenza di artisti, delle loro vite e delle loro opere, si mostrano strade difficili eppure percorse, scelte dure da sopportare eppure fatte. Incontri inaspettati che hanno portato ad un progresso per tutta l’umanità.
Attraverso la conoscenza del Patrimonio culturale si capisce cosa sono le radici, si lavora sulla memoria, sul bene comune, sulla tolleranza, si conoscono la Storia dei popoli, si comprende che appartieni a te stesso e al mondo che ti sta intorno.
Attraverso la sperimentazione di tecniche artistiche si attivano molte competenze psico-fisiche: dalla manualità alla ricerca di piacere, dal rispetto dei tempi all’accoglienza del diverso. La bellezza che può nascere da forti contrasti e non per questo essere distruttiva.
L’arte ci insegna a rispettare il nostro talento, qualunque esso sia, che si può rimanere se stessi anche quando la ’committenza’ è particolarmente oppressiva. Che ciascuno ha una propria strada per arrivare ad un medesimo obiettivo, e che se la strada non può essere cambiata, personale sarà il passo del nostro cammino.
Dall’Arte impariamo cosa vuol dire dialogare, contaminarsi e riprovare anche se ci sentiamo arrivati. Dubitare della onestà del mantra di presunte verità.
In un’epoca di grande ‘impoverimento’ socio-culturale occorre dunque ripensare al nostro approccio educativo. Spingere meno sull’asse compilativo-performante-esecutiva e di più su quella emotivo-critico-esplorativa.
Portiamo i bambini e le bambine nell’Arte e proviamo a starci dentro. Con competenza ed onestà intellettuale.