L’intervento dell’ Ing. Arianna sulla bontà della metodologia didattica utilizzata nelle scuole non è solo condivisibile, ma anche generalizzabile. Se prendiamo la sua analisi, ed eliminiamo termini che la legano alla scuola, viene fuori che siamo abituati a: parlare senza che l’altro sia connesso, comunicare con linguaggi retrò, metterci poco in discussione, pensare che il momento per crescere (o imparare) sia sempre il prossimo, credere di fare il proprio dovere anche senza badare ai risultati. Ora ditemi:a quanti settori (culturali e non) si possono applicare questi enunciati?
All’ambito della didattica dell’arte senza ombra di dubbio! Mi sono chiesta tante volte perché continuiamo a perpetrare abitudini e consolidare prassi anche se queste, evidentemente non soddisfano, non accattivano e non funzionano? Consolidando la mia idea che non è solo una problema di “condizioni esterne”, mi sono risposta che è questione di atteggiamento sociale, e in quanto tale, personale. Il problema è che ci nutriamo di pensieri negativi. E non lo dico per fare della filosofia da happy hour! Se soppesiamo il tempo che spendiamo a lamentarci delle cose che andrebbero cambiate e quello che investiamo nell’effettivo tentativo di cambiarle da che parte penderebbe la bilancia? È forse sbagliato evidenziare errori o denunciare disfunzioni strutturali? Certo che no. Accanto a questa dovremmo forse attivare una strategia parallela e costruttiva.
Della fantastica storia di Peter Pan l’intuizione più grande è stata quella di associare il volo ad un pensiero felice. Se nutriamo un atteggiamento negativo saremo meno disposti a porci in ascolto e a attuare micro cambiamenti perché reputati INUTILI: dunque quasi giustifichiamo la stasi culturale in cui siamo entrati. Ma se ci concentriamo su piccole azioni pratiche e quotidiane ossigeniamo un tessuto sistemico che, insieme a persone inarrivabili e meccanismi inaccessibili, è composto anche da ciascuno di noi. Allora quanto ci costa un pensiero felice? Costa fatica. Innanzitutto pensare che tutto l’inconciliabile, l’inattaccabile, l’invulnerabile…un po’ dipende anche da noi! Da come ci comportiamo, da quello che facciamo a quello che evitiamo di fare, da quello che diciamo a quello che omettiamo, da quello in cui crediamo a quello che avversiamo.
I bambini ci insegnano a ragionare sul momento che si vive. Non esiste il prima e il dopo, non mentre si agisce, solo il qui e ora. Ma, ovvio, ci si comporta portandosi dietro il proprio vissuto e sedimentando quel momento esclusivo da spendere nel futuro.
Non ci sono polverine o formule magiche, ma è un lento camminare e un calmo costruire. Condividere un obiettivo, lavorare per gradi, adeguare le risorse, ottimizzare i tempi. I percorsi alternativi, meno battuti, sono sempre più ardui al principio. Eppure svelano scorci inaspettati e panoramiche inconsuete. Non per cavalcare teorie o politiche del possibilismo, ma per fermarsi a riflettere sul reale apporto e sul peso specifico che ogni singola azione ha sul totale. Di noi come tasselli vivi. Si originano combinazioni infinite in continua evoluzione se si muta posizione, direzione, dimensione, colore ad un piccolo modulo! Metafora del contributo individuale scomodando l’illustre Escher.