Nell’ambito della valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ancora scarsa considerazione viene riservata alla realizzazione di programmi integrati e puntuali di divulgazione ed insufficienti risorse sono investite sulla creazione di specifiche competenze del personale deputato alla didattica dell’Arte e dei Beni Culturali. Poca ricerca e poca sperimentazione viene fatta con bambini e ragazzi che, invece, tanta parte hanno nel processo culturale e che depositari, oggi, di una corretta educazione saranno attori sensibili e utenti consapevoli domani. Dunque la didattica come crocevia di strategie di comunicazione per definire obiettivi prioritari da veicolare; come nodo fondamentale per rilevanza economica, valore ideologico e opportunità operative nel processo di valorizzazione dei Beni Culturali; come campo comune dove agiscono professionalità e abilità tecniche differenti, dove si attivano sinergie funzionali e dove si organizzano interventi ed eventi territoriali pianificati. Nel presente lavoro è proposto un approccio innovativo e interdisciplinare di didattica dell’arte per bambini, dove coesistono le moderne tecnologie insieme alle attività esperienziali, il criterio scientifico insieme all’orientamento artistico, le finalità atte ad incrementare la fruizione insieme ai metodi interattivi per diffondere la conoscenza del patrimonio italiano. Il lavoro è corredato di analisi della situazione attuale della didattica, fuori e dentro il museo, case study e relativa proiezione dei vantaggi complessivi.
Introduzione Gli ultimi decenni hanno visto cambiare le abitudini di consumo culturale, mutare gli interessi, velocizzare le modalità di acquisizione dati, abbreviare i tempi di permanenza dei circuiti turistici, introdurre dispositivi tecnologici per la fruizione dei Beni Culturali. Parallelamente sono aumentate le offerte di servizi culturali che, senza adeguato percorso professionale e innovativa visione, non procedono di pari passo con le indicazioni o le competenze che le nuove figure di esperti del patrimonio dovrebbero avere per accogliere la sfida culturale del millennio. L’intero ambito entro cui si cerca di dare questo contributo è complesso per l’articolata definizione, per i livelli di comunicazione implicati, per i soggetti giuridici coinvolti, per la pluralità degli interessi deputati in campo. E per il diverso peso che viene attribuito alle azioni di Tutela, Conservazione, Restauro e Valorizzazione. Spesso viene dimenticato che si conserva anche attraverso la Valorizzazione, per esempio laddove questa, faccia in modo che la comunità riconosca il significato o avverta l’intrinseco interesse di un Bene Culturale altrimenti pregiudicato (per esempio dal tempo o dalla perdita del propria funzione originaria). Si sottovalutata l’importanza dell’imparzialità e della correttezza dell’informazione, intesa come strumento di conoscenza per apprendere, ma anche come fondamento per creare un proprio giudiziocritico. L’indifferenza che gli utenti e i cittadini riservano a questi temi è frutto di una consolidata politica culturale che dimentica di raccontare gli sforzi, le conquiste e i risultati di un considerevole processo storico tutto italiano. La freddezza con cui vengono accolti taluni eventi, anche titanici, ne è un esempio. Trattare il magma del nostro patrimonio in maniera frammentaria, in cui ogni forza in campo rivendica una parte di diritto, una parte di mansione, una parte di potere, senza obiettivi coesi e condivisi, incoraggia e avalla un curioso paradosso dato dalla carenza di pubblico coinvolto nonostante una crescita sostanziale di domanda e di offerta. La responsabilità dell’intera comunità riguardo al proprio patrimonio culturale è tutta da costruire . Bisogna considerare le attività di Valorizzazione in una veste dinamica, al passo con i tempi, con le esigenze e con le teorie che si evolvono, e non indipendentemente dalle altre componenti in campo ma in forza di esse. Entrare in contatto con il pubblico svecchiando modalità, sistemi e impostazioni è l’imperativo e la sfida di questi anni. La didattica dell’arte e dei beni culturali può a buon grado essere inserita in questo discorso. Esiste una questione di trasmissione del messaggio, un problema di considerazione sociale e di carattere educativo. In Italia abbiamo più di 4.700 musei e istituzioni similari, mentre il numero di comuni ammonta a poco più di 8.000. In media abbiamo più di 2 musei per comune. Ora, tralasciando le stime sui grandi musei delle grandi città, il nostro patrimonio è costituito da miriadi di collezioni, piccoli musei – pubblici o privati- che rappresentano la nostra caratteristica, il nostro substrato culturale, la nostra essenza storica. Ogni museo ha tipicità e caratteristiche esclusive, è radicato ed attiene al territorio in cui sorge, presenta medie e piccole realtà culturali che si interfacciano col luogo in una dimensione fisica ed emotiva. Sottodimensionando l’apporto della didattica, museale e non, si trascurano alcune soluzioni che in tanti contesti possono rappresentare anche l’unico legame tra enti e utenti. Contesti in cui a tenere aperto un museo spesso c’è solo una persona, dove le visite guidate o altre attività vengono svolti da volontari! Per un recupero di pubblico, consapevole oltre che pagante, bisogna allineare esigenze e abilità. Per un aumento della partecipazione collettiva, capace di influenzare decisioni programmatiche ed indirizzi politici, necessita un rinnovato e rinverdito dibattito popolare ed un’educazione aggiornata, mirata, costante. La figura dell’operatore didattico dovrebbe racchiudere in sé competenze di arte, museografia, pedagogia, comunicazione, gestione di gruppi, legislazione, ed avere come elemento distintivo una visione collaborativa ad ampio raggio. Sembra opportuno a chi scrive porre considerazioni sulla fattibilità di proposte concrete. Attuabili nella situazioni presenti , per provare ad intervenire sull’ora e sul qui, lasciando, in altre sedi e ad altre professionalità, il compito di discutere sul come dovrebbe essere. Concentrandoci su tematiche riconosciute, discusse e accreditate ma completamente, o quasi, disattese per motivi comprensibili ed inspiegabili allo stesso tempo. Perché l’imperfezione del sistema non rappresenti, oltre che il gap da colmare, anche un pretesto per l’immobilismo, occorre avviare una nuova stagione di lavori muovendosi su binari esistenti ed attuare tante buone norme che già esistono da decenni come collaborazioni, programmi di intesa, indicazione di standard qualitativi, attività di ricerca, impostazione dell’interdisciplinarità. Perché nessuno investe in un settore se prima non gli riconosce un’importanza strategica.
Didattica e bambini In che modo la didattica dell’arte per bambini può incidere sulla criticità della trasmissione di conoscenza che caratterizza il nostro Patrimonio Culturale? Su quali elementi pratici può agire? Quali modalità espressive coinvolge? Quali sono i risultati cui vuole arrivare? Come si può intervenire oggi? La risposta è racchiusa nei seguenti concetti: valenza ideologica, importanza strategica, co-pianificazione, documentazione, approccio operativo, interdisciplinarità. Vanno affrontati necessariamente in contemporanea, perché rappresentano tutte facce della stessa medaglia. Ciascun argomento insinua le proprie radici in quello successivo e in quello precedente, trovando forza di equilibrarsi e sostenersi vicendevolmente. Quello che può apparire secondario o di contorno per un’educazione fattiva e completa, ne rappresenta uno dei fondamenti. Il Museo, con le sue evoluzioni di significato, da luogo di raccolta o espositivo a centro di propagazione culturale o di amplificazione delle esperienze territoriali, è un’istituzione destinata a cambiamenti radicali per sopravvivere. Il nostro sistema di diffusione culturale soffre dell’aggressività e della varietà di molti competitors: altre nazioni, frammentarietà del segmento culturale, fabbrica del divertimento, richiami e pratiche commerciali. Questo genera alterazioni e distorsioni educative se si considera, per esempio, le proposte di attività museali che per essere considerate o apprezzate devono a loro volta generare un prodotto materiale finito che ogni bambino porterà a casa per giustificare la spesa del biglietto pagato. Si ha quindi uno spostamento dell’asse di interesse, che incide sui fattori di indirizzo formativo, sottovalutando la validità del percorso messo in atto o trascurando il valore complessivo dell’esperienza vissuta. E’ possibile riconoscere limiti e potenzialità delle iniziative didattiche messe in atto, semplicemente osservando l’impostazione concettuale prima ancora della concretizzazione. Se concordiamo sull’assunto dovremmo agire di conseguenza. L’operatore didattico ha diversi obiettivi: a breve termine (codifica e decodifica messaggio), medio termine (divulgazione di concetti specialistici) e lungo termine (formazione di una consapevolezza popolare). Non si occupa di creare né di ricopiare o replicare il prodotto artistico, ma, lavorando su storia, identità, tradizioni e trasformazioni, attiva dinamiche socio culturali tali da sostanziare interrogativi e cambiamenti comportamentali rilevanti. Questo ci fa capire come l’esperto di didattica museale debba essere inserito in un ambito più ampio rispetto alla mera gestione di due ore laboratoriali; che le competenze della figura che si occupa di questo settore debbano essere più eterogenee e spinte di quello che si immagini o che viene richiesto attualmente. Continuando a considerarla un “accessorio” o una declinazione colta dell’intrattenimento, non si rende giustizia ad una disciplina che potrebbe fare la differenza. La didattica dell’Arte, museale o itinerante, come “movimento di pensiero” che nutra, sostanzi e accresca una formazione perpetua. Perché nelle politiche di valorizzazione e di fruizione ci sia spazio per la educazione sperimentale, e tempo per raccogliere suggestioni degli apporti personali, dei cambiamenti comunicativi, nelle mutazioni di indirizzo, a seconda della segmentazione dell’utenza. Possediamo già dei buoni strumenti di analisi, di indirizzo e di conoscenza, in Italia esiste un dibattito sulla didattica dell’arte e dei beni culturali già da più di un paio di decenni. Esiste tanta buona pratica portata avanti da tanti ottimi operatori che condividono e tengono a galla una qualità media diffusa grazie alla personali attitudini e capacità. Scendendo a compromessi con risorse, mezzi necessari e vari interlocutori.
Dunque ricerca e sperimentazione per riportare al centro del dibattito il sentire personale, il vivere l’esperienza senza subirla. Preparazione e progettazione che considerino la centralità dell’utente e del percorso in fieri. Una didattica narrativa e non impositiva che lavora collaborando con i cittadini, ascoltando le loro considerazioni, attivando un canale di riscontro e comunicazione nuovo (per esempio l’utilizzo dei social network). Non per lasciarsi trascinare dai contesti ma per essere ricettore e attore di andamenti contestualizzati che si evolvono. Il che non significa adattare le proprie teorie alle richieste, ma conoscere le esigenze dell’utenza per attivare una relazione mirata, funzionale e “ben voluta”. Le finalità educative vengono seguite e si radicano solo se largamente condivise, mentre sono disattese e osteggiate (anche inconsapevolmente) se risultano sconosciute o incomprensibili. La conoscenza delle aspettative permette di selezionare gli strumenti più adatti e di predisporre gli obiettivi più idonei al raggiungimento del target definito, nel rispetto delle linee guida culturali di riferimento di musei ( accoglienza, inclusione sociale, divulgazione scientifica o artistica, identità sociale). Lo studio delle singole realtà particolari consente di prevenire insuccessi di pubblico e di anticipare bisogni personali e collettivi per fidelizzare utenti, in un’azione riconosciuta da tutte le componenti coinvolte. La progettazione integrata, la valutazione degli impatti, il bilancio obiettivi-risultati sollecitano e mettono a fuoco il dibattito sulla dimensione locale considerata. Mentre il contributo popolare in termini di definizioni, interesse alla progettazione coinvolgimento territoriale, personale, professionale rappresentano il punto di arrivo. La mancanza di collaborazioni, di contatti col territorio, spesso sono dovuti a incapacità di visione o di iniziativa, piuttosto che a un puro spirito di ostracismo. Non è scontato un dialogo su taluni temi anche se ne può beneficiare una intera area o una intera comunità. Non è automatica la ricerca di altre competenze per risolvere o affrontare situazioni reali e contingenti. Gli attori in campo, come gli interessi, sono tanti e di diversa forma giuridica, sono pubblici o privati, rappresentano individui o gruppi. Seduti al tavolo di concertazione i vari componenti, informati preventivamente ed esaustivamente, lavorano per un obiettivo comunitario e raggiungono accordi programmatici, solo se si sentono parte di una cosa che nasce e si attiva insieme a loro, non nonostante loro. Occorre qualcuno che si assuma il compito di creare delle tavole rotonde dove sia chiaro a tutti i partecipanti, a qualunque ente o comunità appartengano, il comune interesse da portare avanti. Questo indirizzo programmatico è importante per tutte le attività svolte da un museo e ancora di più impatta anche sulla gestione del pacchetto bambini, nella valenza istruttiva che gli assegniamo e nel valore economico monetario che decidiamo di considerare.
Oltre che un vantaggio sociale ed economico di grande rilievo, è un imperativo morale mettere in relazione in maniera forte, biunivoca e fruttuosa il nostro Patrimonio Culturale e i bambini. All’ ambito eterogeneo fin qui evidenziato, aggiungiamo regole, modalità e tempi relativi al mondo dell’infanzia. Puntare ad un aumento di fiducia e di coinvolgimento, di questa particolare fascia di utenza, sul tema della salvaguardia e della diffusione dei beni rappresenta una sfida comunicativa interessante con confini metodologici continuamente in espansione ed uno spostamento dell’equilibrio comunicativo da verticale (l’autorità dell’adulto che si impone sul bambino) a orizzontale (bambino adulto affiancati in un adeguato scambio). Per uscire dallo standard in cui si parla al bambino facendo leva sul peso del proprio ruolo di adulto e per creare un ponte generazionale stimolante, occorre attivare nuove interconnessioni, incoraggiando un contraddittorio su campo conosciuto. A questo proposito non demonizzare la cultura informatica, ma incontrarla, studiarla e utilizzarla, cavalcarne il linguaggio sottolineando similitudini o rimarcando le differenze, ma comunque non ignorarla. L’utilizzo di socialmedia, di realtà aumentata, virtuale, multimedialità sono obiettivi da perseguire, non solo per adeguare agli standard internazionali i nostri musei, ma per innovare luoghi e spazi deputati alla creazione e all’analisi di significati. Riguardo a questi temi si rilevano problemi di varia natura: professionali – competenze del personale coinvolto; strutturali – adeguatezza della compatibilità con spazi e luoghi; economici – costi di progettazione e di gestione; organizzativi- come conciliare l’orientamento ideologico e l’indirizzo di comunicazione. Difficilmente un piccolo museo può farsi carico di ingenti investimenti tecnologici, o una piccola comunità può sostenere oneri legati ad una massiccio intervento informatico. Nella politica del qui ed ora, la soluzione diventa un’operazione di fattibilità e di buon senso analizzare e selezionare le azioni che possono essere fatte senza incremento di risorse o particolari strumentazioni. Come una postazione internet per una navigazione in tempo reale. O installare un proiettore per la visione di immagini per consentire confronti e aggiornamenti. Senza aspettare di intaccare i massimi sistemi si possono mettere in atto comportamenti personali mirati e controllati che consentono cambiamenti a cascata per modifiche progettuali, riequilibrando le priorità e ridistribuendo i pesi formali dati a quegli aspetti della valorizzazione da decenni consolidati e stereotipati. La richiesta di considerazione di questi aspetti, esiste ed è a più riprese portata avanti con annunci eclatanti o con instancabile dedizione, attraverso gesti di quotidiana sapienza e di indomabile entusiasmo verso il settore dei bambini che si muove, si evolve, che merita attenzione, preparazione ed entusiasmo. Ancora una volta per progredire e intervenire fattivamente bisogna lavorare per una pianificazione integrata, multidisciplinare e globale. Immaginare accordi di varia natura con tutte le tipologie di lavoro che gravano su un territorio e che ruotano intorno ad un museo, dalle strutture ricettive adeguate ai mezzi di trasporto per raggiungere le località, agli ambienti deputati al divertimento alle istituzioni scolastiche. Questo eviterebbe, per esempio, nel settore del turismo scolastico distorsioni educative dovute a mancanza di fondi in cui le scuole, non riuscendo a raggiungere le sedi museali, chiedono che le attività e gli incontri vengano svolti nelle aule scolastiche. In questo modo non viene meno il valore formativo in assoluto, ma acquista un’accezione altra ed elimina il coinvolgimento fisico-emotivo-dimensionale che si può avere solo tra le mura del museo.
Portare a compimento una politica culturale partecipata e fattiva significa predisporre situazioni conosciute in maniera funzionale alle finalità stabilite. Perché migliori la conoscenza nel campo della didattica occorre investire sulla ricerca che possa definire obiettivi chiari, prevedere tempo da dedicare e da investire, impiegare risorse economiche e di personale. Per migliorare il metodo della didattica occorre studiare e intervenire analizzando il comportamento generale rispetto alle proposte didattiche, rivedendo ed intervenendo sulle criticità per ottimizzare e qualificare l’intero percorso. Tutto quanto attraverso lo strumento della documentazione. Dove per documentazione intendo una pratica costante e codificata, come momento di controllo, come fermo immagine, come valutazione, come ripensamento, come trampolino per altre ricerche ed altre sperimentazioni, come “impostazione concettuale” dell’intero percorso educativo: dal progetto alle attività previste, dalle considerazioni del personale alla risposta del pubblico, dal ri-pensamento alla sperimentazione. Documentare non solo attraverso la fotografia scattata al pubblico di un evento, o durante un laboratorio (il dossier fotografico è certo fondamentale e di una intrinseca valenza estetica ancora sconosciuta), ma attraverso un’archiviazione mobile che rilevi la necessità e l’esigenza di collegare delle esperienze, condividere dei risultati, far circolare dei saper acquisiti. Lo sforzo immane che immaginiamo è solo apparente. Sempre per tener fede al qui e ora, il numero e la quantità di azioni richieste da un’operazione così capillare di documentazione, si riduce considerevolmente se si imposta una modalità a grappolo e se la si imposta fin dalle prime fasi progettuali. All’inizio con rapidi appunti che possono essere via via approfonditi, studiati e su cui si può ritornare in momenti successivi. È l’abitudine di cogliere considerazioni sensibili che permettano ripensamenti, modifiche, ottimizzazione sull’intero percorso istruttivo. Le linee guida vanno adeguate al contesto, alle attitudini/abitudini, al team e alla storia del gruppo di lavoro. Una documentazione improntata ad un modello semplice ma non semplificato, per diffondere buone prassi e facilitare scambi tra il sistema formale ed informale, per incrementare la circolazione dei saperi. Una visione amplificata, una messa a fuoco del contesto di riferimento, un’opportunità che continua ben oltre il momento fisico vissuto, che come un sasso nello stagno può dar vita a cerchi concentrici che si allargano. Ritornare ad avere momenti di dibattito intra ed extra scolastico riguardo a temi collettivi, condivisi e contemporanei.
Mostrare ad una scolaresca, ad un gruppo o a singoli visitatori un museo, o un bene di riferimento, da più punti di vista complementari assicura una resa immediata ed una comunicazione ottimale sul piano di contenuti e forme. Le collaborazioni tra figure professionali (di ambito scientifico, artistico, organizzativo, storico, archeologico, ambientale,…) e le cooperazioni tra istituzioni rappresentano la base di sinergie culturali e amministrative viste non come un evento, ma come un progetto identificativo. Un progetto che si lega alle risorse e alle strategie del territorio in cui sorge, che agisce per accogliere e considerare le istanze pertinenti di gruppi di cittadini o associazioni; che lavora per includere ed integrare aspetti divergenti; che si adopera per essere accogliente e per promuovere valori e talenti locali. La storia ci insegna che illuminati percorsi, calati dall’alto senza incontrare il favore dei cittadini, sono rimasti scatole vuote e senza seguito. A grandi successi può invece essere destinato un progetto minore, nato da un singolo e assorto a esempio condiviso e benvoluto dalla cittadinanza. Questo dovrebbe far riflettere sull’opportunità di creare delle reti tra discipline diverse. Utilizzando un solo canale di accesso dati o di sbocco pubblicitario si raggiungerà un risultato diverso rispetto all’attivazione di canali 2 o 3 volte più grande. Ecco perché cercare collaborazioni, ecco perché cercare di sfruttare tutte le reti che si possono mettere in campo. Riconsiderare il lavoro che sottende tutto il settore della didattica e rivalutarlo in termini di interdisciplinarità presenta indubbi vantaggi formativi ed educativi: – visione globale: affrontare un unico argomento sotto punti di vista differenti e a volte lontani tra loro. – informazioni complete ed esaurienti: grazie alle competenze differenziate spinte di ogni figura professionale in gioco. – pluralità di linguaggi: e conseguente arricchimento del proprio vocabolario cognitivo ed emotivo. – diffuse opportunità: consento a chiunque si interfacci di ricavare all’interno dell’attività una propria strada, un proprio filone. Bisogna restituire centralità al dialogo, inteso come scambio: con l’utenza, con le istituzioni, con il territorio, con la memoria e con l’innovazione anche attraverso una didattica fattibile, controllata, revisionabile, ottimizzata, codifica, esportabile.
Partendo dalla partecipazione, occorre entrare in queste dinamiche dal punto di vista comunicativo, conservando il rigore scientifico con cui veicolare le informazioni e incentivando dei team interculturali adeguatamente formati sulla didattica. Perché sarebbe difficile, oltre che inutile, trovare personale che abbia così tante competenze da spaziare in ambiti lontani. E’ un’operazione piuttosto complessa da fare, non per la scarsità di riferimenti letterari o legislativi, quanto per l’atteggiamento sociale nei confronti di questi argomenti e per la irrilevante disponibilità a finanziare i progetti nati per veicolare tutto questo. Riattualizzare i contenuti, svecchiare le modalità comunicative, ristabilire obiettivi non solo per istruire, ma per conservare e per innovare. Mettere a sistema le emergenze presenti in un territorio e scegliere le competenze per affrontarle, un “unico sentire” che si declina attraverso vari ambiti, professioni, opportunità e linguaggi differenziati. Monadi, singoli o piccoli gruppi che lavorano con professionalità, entusiasmo e abnegazione sfidando limiti e inettitudine. Ristabilire nella scale delle priorità e presupporre un investimento in termini formativi affinché la questione del nostro patrimonio afferisca sempre più alla sfera personale, emotiva e cognitiva, e perché le persone abbiano voglia di ritornare al museo. Una didattica attuale per un utente moderno, adulto o bambino che sia. Oltre a dare occupazione a figure professionali nuove, riconosciute, si creerebbe un indotto economico collaterale, considerando per esempio il target delle famiglie, che normalmente risultano più disposte a spendere per i propri figli che per se stessi. Senza entrare nello specifico del risvolto economico e, tenendo conto che nessuno vuole snaturare o svendere il valore intrinseco che posseggono questa particolare categoria di beni culturali, ci si domanda quanti sono in Italia i musei kids frendly? Quanti musei mettono a disposizione un’esperienza totalmente appagante anche se a pagamento? Quanta inefficienza è dovuta a penuria di mezzi o finanziamenti e quanta a limitatezza di visione? Le strade per tentare un approccio significativo, già tracciate e talvolta percorse, vanno collegate e regimentate.
Taccuini di Viaggio: imparare la scienza osservando il paesaggio rappresenta un esempio di progetto didattico interdisciplinare, versatile, legato al territorio e ottimizzato nel tempo in seguito a un’attenta documentazione e all’ analisi delle criticità emerse in relazione a tempi, metodi e target. Il progetto porta il patrocinio dell’Università di Siena, della Fondazione Musei Senesi, dell’EduMusei, dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Siena. E’ stato elaborato dalla dottoressa Sandra Becucci, come Museo del Paesaggio di Castelnuovo Berardenga, per l’anno scolastico 2011/12, fin dalla prima edizione ha riscontrato un grande successo ed è ancora molto richiesto. Che cosa è e perché Taccuini di viaggio piace tanto? Il progetto si ispira ai taccuini di viaggio di esploratori naturalisti che affidavano le proprie osservazioni e intuizioni a quaderni o diari (con copertina rigida) che poi studiavano approfonditamente; è rivolto alla scuola secondaria di primo e secondo grado, ma ha coinvolto anche istituti superiori; prevede incontri in classe– per affrontare il tema del paesaggio, inquadrare la ricerca e illustrare il metodo; escursione in esterno– per utilizzare lo strumento taccuino; realizzazione di un prodotto finale collettivo – il paesaggio in scatola, ceramica, plastici, lastre in rame, vario a seconda di età, mezzi e disponibilità. Tralasciando l’aspetto dei contenuti scientifici del progetto, che è fondamentale tanto da sostanziarne il valore e la durata , mi soffermerò a raccontare i punti di forza sotto un aspetto didattico. Interdisciplinarità: il progetto condotto da esperti di geologia, di arte e di antropologia, dunque, offre una visione del paesaggio sotto punti di vista apparentemente distanti, ma complementari, in cui spesso le discipline si incontrano. Oltre al team didattico è interdisciplinare anche il prodotto taccuini che coinvolge, in una stessa scuola, insegnanti di materie differenti, contribuendo a creare contatti, relazioni e a favorire una visione globale, come sollecitazione esterna ed interna alla scuola, dell’argomento paesaggio. – Documentazione: il taccuino, come prodotto e come documento, attesta il percorso personale di ciascun bambino, a cui viene chiesto oltre alle osservazioni scientifiche e alle prove artistiche di inserire considerazioni personali. Le foto durante le escursioni o le prove in classe mostrano un lavoro che piano piano si concretizza. L’analisi dei livelli di difficoltà incontrati dai bambini nelle diverse fasi, dalla realizzazione manuale del proprio taccuino alla scoperta di luoghi familiari ma osservati con occhi indagatori, rivelano ambiti su cui intervenire. – Restituzione: i risultati raggiunti vanno esaminati tenendo conto di tutte le dinamiche attivate dall’impostazione suggerita dal progetto. È un continuo rimando tra scienza e arte, tra individuale e collettivo, tra esperienza formativa ed educativa, tra strumenti di analisi geologica a tecniche artistiche, tra territorio e ambiente, tra teoria e esperienza sensoriale. Le numerose classi che hanno richiesto il progetto sono state condotte alla scoperta della geologia, della storia, dell’arte del territorio senese. Ciascun insegnante ha visto adeguare, alle proprie esigenze, il taglio proposto dagli esperti, che hanno favorito quello che meglio si addiceva alle richieste curriculari, senza alterare il progetto, ma evidenziandone la natura ragionevolmente versatile. Il Taccuino di viaggio è l’esempio di quello che può essere realizzato mettendo insieme competenze e buon senso, attivando collaborazioni istituzionali e creando una rete territoriale che si evolve, fuori e dentro la scuola, fuori e dentro il museo.
La definizione di principi, prassi o altri fondamenti riconosciuti a livello istituzionale, prendono forma dal basso. Da quella buona pratica didattico-educativa che confrontandosi quotidianamente con bambini, situazioni, carenza di fondi, limitazioni temporali o materiali, ravvisa l’urgenza di modificazioni concrete ad un agire indisturbatamente passivo e dannoso. Da quegli operatori preparati e capaci che svolgono le loro attività sottostimati in termini economici e di riconoscimento. Da quegli assessori comunali o funzionari dello Stato che credono che si possa far sopravvivere una testimonianza vivida per quanto piccola. La didattica non è messa in condizioni di assurgere a disciplina scientifica per modalità, procedure, misurabilità. Non è considerata un settore su cui puntare. Eppure passano attraverso questa disciplina modi, sistemi e occasioni che, se messe a regime, creano le condizioni per un accrescimento di senso civico collettivo in grado, nel tempo, di apportare sensibili cambiamenti. Non la panacea, ma una strada percorribile ed efficiente! E, con quelle già riconosciute e consolidate, operare per la salvaguardia dell’intero Patrimonio italiano con tutti i modi possibili. Perché si connoti come espediente funzionale e incisivo nei dibattiti attuali e futuri. Funzionale alla comunicazione di tutti i valori di cui può farsi portavoce quel museo, quel sito, quell’associazione. E necessario per legare quei valori al territorio e farli viaggiare insieme alle altre priorità sociali dello stesso. E’ una prova di grande rivoluzione riallineare politiche culturali con le aspettative del cittadino, avvolgere il Beni Culturali italiani in una dimensione confidenziale, oltre che conosciuta. È una sfida di grande spessore stimolare nei bambini, in maniera professionale ma accattivante, una percezione consapevole e una coscienza duratura introno al nostro Patrimonio Culturale.