Non è più una ricerca di opportunità lavorative, di rispetto di tradizioni secolari, né di propagande culturali, è una faccenda di sopravvivenza. Interrogandosi su uno Stato che, da un lato, promulga leggi di tutela e di valorizzazione, ma che praticamente non ci crede! Non solo non investendo correttamente, ma intervenendo sull’ esistente per abolire, cancellare, eliminare, invece che potenziare, ottimizzare, elevare. Togliere dai programmi scolastici la storia dell’arte: un’arroganza inaudita! La domanda è innocente: perché? Perché è considerata inutile? Perché è insegnata male? Perché dobbiamo fare spazio ad altre materie? Perché dobbiamo adeguarci agli standard educativi di altri Paesi? Lasciamo da parte il considerevole disagio provocato a tutti i docenti che si vedono cancellare l’insegnamento della materia e, dunque, sono costretti a fare ‘altro’. Lasciamo perdere il modo con cui viene insegnata nelle nostre scuole, altro spinoso capitolo. Riflettiamo sul profondo significato di questo gesto e sulla nostra classe dirigente. Il valore di memoria e di identità che l’arte rappresenta per la nostra storia è stato etichettato con un giudizio quanto mai errato! Proiettandoci, in modo imbarazzante e ridicolo, in un paradosso spazio-temporale di proporzioni cosmiche! Via la materia dai banchi di scuola per far posto alla tecnologia o per adeguarsi a standard internazionali. Cecità nel credere che le formule valide nel resto del mondo funzionino tout court in Italia sostituendo semplicemente quelle esistenti. Il danno del Decreto Gelmini del 2009 è reiterato anche nel Decreto della Carrozza, attuale Ministro, che non è intervenuta su questo aspetto perpetrando orrore e silenzio. Si dimentica che un tempo Pubblica Istruzione e Beni Culturali erano sotto un unico Ministero, lasciando intendere una unità, non solo formale, ma di intenti, contenuti e di finalità. Cancelliamo dalla scuola la storia dell’arte, dunque, per proiettarci nel futuro. Deve sfuggirmi qualcosa… nella mente ho, invece, un concetto cardine secondo cui il futuro di ogni Paese risiede nelle proprie radici. Dunque questa abolizione arbitraria significa: 1°. Rinnegare la nostra storia, 2°. Ignorare il nostro potenziale; 3°. Offendere una millenaria memoria; 4°. Eludere i problemi reali; 5°. Brancolare nel buio; 6°. Ipotecare il futuro di una Nazione. Ma forse è l’unica strada. Forse lo Stato Italiano deve totalmente seppellire sotto una coltre di disprezzo e ignoranza un Patrimonio glorioso perché, come una Fenice, possa rinascere dalle proprie ceneri nell’unico modo possibile: riscattato da ogni singolo cittadino che rivendicherà un ruolo primario nelle scelte e si indignerà ad ogni torto futuro. Perché più cerchiamo di essere al passo coi tempi, scimmiottando modelli funzionanti (altrove), più evidenziamo le nostre debolezze sostanziali e formali. Più si palesa la nostra sudditanza intellettuale a persone nazioni, sistemi. Validi certo, ma non congeniali alla nostra situazione, e soprattutto non risolutivi. Non siamo in grado di progredire valutando i nostri punti di forza e di debolezza. Né valorizzando le nostre caratteristiche peculiari come vissuto storico, posizione geografica, indole di popolo. Il gap che ci divide da altre realtà NON si colma imitandole! Allora aspettare di trasformarsi in somari o credere alle fate? Forse è tempo di mobilitarsi. Sul sito firmiamo.it c’è una petizione aperta anche per questo argomento. Facciamo sentire la nostra opinione firmando, non solo per i posti di lavoro, ma per enunciare un chiaro indirizzo di merito su temi vitali. Perché l’Arte in Italia non è elemento di facciata, ma essenza fondativa! Dobbiamo diventare sentinelle del nostro Patrimonio. Se non si pone un freno, il prossimo passo quale sarà? Avremo nostalgia di Totò che vende la fontana di Trevi ad un americano, perché quello sarà il meglio che ci potrà capitare. Ma questa è un’altra storia.