L’intervento del Prof. Piccioli sulla Valorizzazione apre argomenti e scenari tanto interessanti e attuali che meriterebbe un’analisi punto per punto di quanto, così causticamente, affrontato. In questa sede mi lascerò guidare dalla suggestione complessiva del suo articolo cercando di commentare le sollecitazioni che credo funzionali per la Valorizzazione in generale, in particolare per la didattica dell’arte e, nello specifico, rivolta ai bambini.
Le parole su cui mi soffermerò sono complessità, qualità e competitività. Termini uno di supporto all’ altro, questioni consequenziali e connesse tra loro indissolubilmente. Considerare, affrontare e potenziare una delle tre voci, in virtù delle altre due, rappresenta la formula vincente per la creazione di qualunque sistema di Valorizzazione del Patrimonio Culturale. Tuttavia…sono concetti che spaventano.
Per essere competitivi a livello internazionale occorre elevare i nostri standard quantitativi e qualitativi in termini di offerta, gestione e promozione. Questo presuppone un mutamento di visione che, a sua volta, determina un aumento esponenziale di complessità, che mette in crisi situazioni reali e stabilizzate –più o meno funzionanti- , ma anche competenze e ruoli consolidati. Perché tutto ciò possa compiersi è necessario riequilibrare l’intero complesso decisionale e operativo, optando per un approccio trasversale, globale, interdisciplinare, e per una pratica integrata, innovata, multimediale.
Attualmente esiste un grosso gap tra le istituzioni deputate alla cura del nostro patrimonio e i cittadini, tra gli enti di diffusione culturale e l’utenza, tra gli operatori e i visitatori. Quanti hanno idea di cosa voglia dire gestire un museo oppure condurre uno scavo archeologico o ancora occuparsi di un restauro? Sono molti di più quelli che sanno cosa occorre per sopravvivere su un’isola deserta o come risollevare le sorti di un ristorante. Manca un tassello di congiunzione, un ponte tra il potenziale che c’è in Italia e la sostanziale inadeguatezza politica che viene percepita a riguardo. Vanno risistemati i margini dell’indagine attraverso progetti di partecipazione e vanno rivalutati i termini sulla questione della fruizione consapevole e attiva. Allora la divulgazione, fase di un percorso articolato, capillare e impeccabile sia dal punto di vista scientifico sia creativo, diventa strumento di conoscenza reale, ma anche presupposto per una consapevolezza collettiva e adeguata alle nostre risorse culturali.
Eventi sporadici e mondani perdono la dimensione colloquiale che, a mio avviso, è fondamentale per una didattica efficace ; proponendo per bambini e ragazzi – solo a volte – belle attività, ma quasi sempre per un consumo fast & furious! E’ un atteggiamento insufficiente, dispendioso e talvolta dannoso. Necessita una pratica quotidiana in cui si diffondano concetti sulla tutela e sulla salvaguardia; in cui si discutano le evoluzioni storiche della nozione di Bene Culturale, e in cui si sperimentino (in aula, nei musei, per strada nei parchi, piazze), soprattutto per i più piccoli, sistemi di comunicazione innovativi e condivisi.
La didattica dell’Arte e dei Beni Culturali deve entrare a pieno titolo ad essere una delle solenni declinazioni che afferiscono al nostro patrimonio. L’esperto del settore è l’elemento umano che interloquisce con il pubblico, l’interfaccia con l’utenza, colui che veicola obiettivi, contenuti e modalità stabiliti in altre sedi. In virtù di queste specifiche dovrebbe sedere al tavolo di concertazione e di individuazione di obiettivi e metodi al pari di architetti, restauratori, legislatori, storici, conservatori. Conoscere processi, difficoltà tecniche, finalità….aiuta ad essere competenti, preparati e credibili.
Ovvio che i problemi da superare sono grossi ed evidenti. Nessuno attribuisce alla didattica settoriale un valore congruo alla reale importanza e nessuno ne ravvisa i risvolti potenziali. La didattica viene spesso associata ad un laboratorio che viene, di conseguenza, immaginato come un “attacco d’arte”. Questo comporta errori di valutazione che inibiscono e rallentano (per carenza di fondi, inadeguatezza di personale e interventi non integrati) la crescita e l’espansione di questo settore che non riesce ad emanciparsi dall’ etichetta grossolana di puro intrattenimento.
Eppure dosando bene cambiamento e memoria potremmo emanciparci dalle nostre remore e cominciare una politica di sensibilizzazione al nostro patrimonio, inteso anche come risorsa economica . Partendo dai bambini c’è la speranza che, in quanto futuri dirigenti, siano all’ altezza delle sfide mondiali che il patrimonio italiano merita di poter accettare.