L’#ospiteDAB del mese ci racconta un progetto teatrale che ha come oggetto, presupposto e approfondimento l’Arte! Cavalcando il naturale entusiasmo di bambini e bambine e utilizzando suggestioni, commenti e spunti emersi dagli incontri preparatori. Elena Aleci storica dell’arte e autrice di libri per bambini, ha organizzato uno spettacolo in cui gli alunni hanno impersonato delle opere d’Arte e interpretato diverse tipologie di visitatori di un Museo. Esperienza coinvolgente e divertente che mostra come avvicinare più piccoli all’arte rendendoli protagonisti nella creazione del contenuto mediato. Sareste curiosi di leggere il copione? Io si.
Si riparte dai piccoli
Ho iniziato con i grandi ma poi – per dirla come Picasso – ci ho messo una vita per diventare uno storico dell’arte per i bambini!
Ho lavorato caparbiamente in questi anni per dimostrare che argomenti apparentemente difficili, poco accattivanti o addirittura indigesti, potessero venire triturati, conditi e serviti in maniera appetitosa.
Storia o arte?
I ragazzini della primaria sono buongustai. E sono già parecchio sgamati.
Quelli di Torino mangiano “pane e mummie” già alla materna e, in prima elementare, grazie alla presenza in città della GAM, ti strappano un Burri come fosse nulla.
Mah… e qui arriva un “grande “mah”… quando fanno… (e fanno bene, e si divertono, e la loro mente cresce, e mille altre cose bellissime) … quando fanno, sanno cosa fanno?
Ogni fenomeno artistico appartiene alla cultura che l’ha prodotto.
Bisogna rispettare questa cultura, cercare di comprenderla per poter trasmettere un’informazione corretta. Allora, se da una parte puoi proporre Magritte, spingere i bambini a dare forma ai loro sogni, accostare immagini inconsuete, sorridere dello stravolgimento del reale; dall’altra, per lavorare su Burri, dovresti parlare dell’esperienza della guerra, del dolore delle piaghe, della sensazione della pelle che si strappa.
Quindi no – secondo me – non si può giocare a “fare Burri”.
Facciamo che io
Il gioco del “facciamo che io…” è spontaneo nei bambini e io l’ho cavalcato da subito.
Con me i bambini diventano piccoli Giotto, alle prese con una pecora molto vivace che non intende farsi ritrarre su un sasso; o piccoli Michelangeli intenti a liberare da un blocco di stucco una scultura; o ancora piccoli Caravaggio che si costruiscono la stanza buia, aprono il varco per il fascio di luce e posizionano il loro modello in una posa teatrale.
Rembrandt, Pollock, Van Eyck e molti altri artisti sono entrati nelle nostre classi. Di ognuno abbiamo scoperto la vita, la cultura e di ognuno abbiamo cercato di capire come ha fatto, lui sì e moltissimi altri no, a rimanere nella storia.
Se i quadri potessero parlare
I bambini si sono calati seriamente nella parte e, alle prese con l’opera d’arte da realizzare, hanno dato libero sfogo a commenti e a interrogativi.
“Ma quanto è brutta la Monna Lisa?”, “Perché Michelangelo fa tutti nudi?”, “Noo, la mia scultura si è rotta”; “Questo è Picasso? Ma non si capisce niente”, “Pollock era pazzo!”; “Veramente c’è uno che ha messo la sua popò in scatola?”.
Allora immaginiamo. Immaginiamo che le opere d’arte di un museo possano prendere vita e rispondere a tutti questi commenti.
E’ nato così un progetto teatrale messo in scena in una scuola pochi mesi fa.
Due le classi coinvolte. Circa venti bambini rappresentavano le varie tipologie di visitatori: la signora “bene”, i maniaci del selfie; il nonnetto acculturato, il papà imbarazzato, il bambino saputello, il gran professore e così via.
Tutti gli altri impersonavano le opere d’arte.
Lo spettacolo è durato più di mezz’ora, in un clima di stupore e divertimento crescente. Come potevano i bambini sapere tante cose? Seguivo emozionata lo snocciolare delle battute che avevo tirato giù in poche settimane.
Come erano riusciti a impararle così bene e così facilmente?
Semplice (senza nulla togliere alla pazienza dei maestri e del regista), quelle parole erano le loro parole, i loro commenti. Li avevo raccolti più o meno consapevolmente. Ogni manina alzata me ne aveva regalato almeno uno! I perché, anche quelli irriverenti, avevano sempre avuto una risposta. Ogni risposta era stata un regalo (“Allora non sono stupido”) ma ogni domanda era stato un seme prezioso.
Verso l’infinito e oltre
Lo spettacolo ha lasciato ricordi belli e la voglia di fare il bis. Di più, si sta facendo strada la possibilità di pubblicare il copione in modo che tutti: scuole, cooperative, gruppi teatrali, possano sperimentare gli effetti di questa sorprendente commistione tra storia dell’arte, buon umore e teatro.
Nel mio caso l’effetto è stato dirompente mi sono convinta di aver fatto una “cosa bella e buona”. Credo di aver regalato ai bambini due momenti di gloria: uno piccolo, la parte da recitare, ritagliata su ciascuno di loro; e uno grande, quando tutti insieme, sul palco, si sono stretti nell’abbraccio dell’applauso finale (mentre tutto intorno volavano i palloncini, ops i “Fiati d’artista” manzoniani).
Oltre si può andare? Certamente.
Il mio “oltre” quest’anno mi ha portato lontano, in un mondo a me sconosciuto. Sto imparando a usare parole importanti come “inclusione”, “obiettivi minimi” ma soprattutto sto scoprendo tesori inestimabili…
Come questi sorrisi.